Il palazzo prospetta su piazza Tola, facilmente raggiungibile dal corso Vittorio Emanuele II attraverso via Cetti.
Il contesto ambientale
Il complesso è all'interno delle mura storiche della città.
Descrizione
Il palazzo Manca di Usini rappresenta il primo esempio in Sardegna di architettura civile di tipo rinascimentale. Edificato in forme tardogotiche attorno ai primi decenni del XVI secolo, venne ampliato per volontà di don Jayme Manca, barone di Usini, nel 1577, come attesta l'incisione sulla chiave dell'archivolto del portale, al di sopra dell'epigrafe dedicatoria (ILLVSTRIS DON IACOBVS MANCA DOMINIS OPIDI DE VSINI). L'ampliamento comportò l'aggiunta del corpo anteriore e del prospetto, originariamente articolato in due ordini. Attualmente il palazzo ospita i locali della biblioteca comunale.
L'edificio ha subito nel corso dei secoli numerosi rimaneggiamenti, il più vistoso dei quali nel secolo XVIII con l'aggiunta del terzo piano; altri interventi hanno riguardato gli interni e l'apertura di due accessi ai lati del portale; tuttavia la lettura dei caratteri originari non risulta compromessa.
Il primo ordine presenta un portale affiancato simmetricamente da due identiche insegne della famiglia Manca e da due finestre nell'ammezzato. Il secondo ordine ha cinque finestre uguali. Il terzo ordine (XVIII sec.) ripete nella disposizione delle finestre il disegno del secondo.
Il portale rappresenta l'elemento dominante dell'intero prospetto. Inquadrato da due semicolonne doriche scanalate su piedistallo sormontate da un doppio architrave entro cui è il fregio con l'epigrafe dedicatoria, si articola in un telaio rettangolare che riquadra un arco a tutto sesto. Sia gli elementi verticali sia quelli orizzontali sono fasciati da bugne lisce continue a ventaglio; le parti non bugnate del telaio sono ornate da punte di diamante, motivo ripetuto anche nei cassettoni quadrati della parte interna dei piedritti e dell'intradosso dell'arcata.
Le finestre hanno tutte la medesima conformazione, differenziandosi quelle del mezzanino soltanto per le minori dimensioni; il davanzale e il timpano rettilineo aggettante sono entrambi modanati; gli stipiti e l'architrave sono decorati da bugne lisce e diamantate alternate, mentre all'interno ritorna il motivo della punte di diamante poco pronunciate entro cassettoni quadrati.
Dal portale si accede a un grande atrio a volta spezzata, sul quale si aprono gli archi a tutto sesto con intradosso scolpito a cassettoni rettangolari degli accessi agli ambienti laterali e allo scalone che porta al secondo piano. Nella parete di fondo dell'atrio è murato lo stemma di un vescovo della famiglia Manca.
Un recente restauro, oltre gli elementi rinascimentali, ha portato alla luce anche quelli tardogotici, ravvisabili nei resti di due finestre con architrave traforato sulla parete del piano nobile che prospetta sul cortile interno, murate e sostituite da più tarde finestre rettangolari; nell'epigrafe a caratteri gotici murata in facciata fra il secondo e il terzo piano; e nella nicchia nel secondo piano dell'edificio, nella stanza di facciata superiore all'atrio, con piccola volta a crociera con gemma e peducci scolpiti e tracce di pittura a racemi azzurri su fondo ocra negli spicchi.