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tempio di Terreseu

tempio di Terreseu

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Da Cagliari si percorre la SS 130 fino al bivio di Siliqua, poi la SS 293 fino al bivio di Acquacadda e finalmente la strada che da questo bivio, voltando a d., conduce a Narcao. Dal paese si prende la strada in direzione di Terreseu. Al km 6,1 si incrocia a s. una strada campestre che, dopo un centinaio di metri, porta davanti alla recinzione della zona monumentale.

Il contesto ambientale
Il tempio è situato in località Strumpu Bagoi, presso Terreseu, nel Sulcis, su una antica via di comunicazione tra la valle di Narcao e quella del fiume Cixerri.

Descrizione
Il santuario faceva capo ad un modesto insediamento sorto in età nuragica e sopravvissuto sino all'età romana, i cui resti sono visibili a d. della strada in direzione di Terreseu.
Lo scavo restituì un complesso templare di modeste dimensioni, composto da due settori.
Il primo settore, a S, è costituito da un pozzo d'acqua sorgiva e da un'edicola di mq 1 circa, con ingresso a S/E e nicchia a N/O.
Il secondo settore, a N, è costituito da sei altari allineati lungo l'asse N/E-S/O davanti al sacello maggiore e ad un basamento rettangolare di dubbia interpretazione, forse un piccolo palco per sacre rappresentazioni.
Il sacello maggiore (m 6 x 3), orientato lungo l'asse E/O, è costruito sopra un basamento di m 0,80. Si apre a S/E e presenta all'interno un piccolo vestibolo antistante una bassa piattaforma; qui resta l'impronta di una base quadrata dove era probabilmente collocato il simulacro della divinità o una pietra sacra.
Adiacente all'angolo O del sacello e orientato allo stesso modo, è un vano quadrato indipendente con ingresso esterno a S/E (m 2 x 3). Esso conteneva un piccolo e rozzo altare per sacrifici cruenti, trovato coperto e circondato da ceneri con numerosi denti di suino.
L'altare celava un deposito sacro consistente in una cassetta di lastre di pietra con all'interno due vasetti biansati, una lucerna romana a quattro becchi, tre ''kernophoroi''; il tutto era deposto davanti ad una statuetta fittile di Demetra stante con le braccia aperte.
Questo complesso di oggetti (esposti al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari), grazie al ritrovamento associato di una moneta augustea, è databile a qualche anno dopo il 15 a.C. L'offerta avvenne in occasione di una riconsacrazione del tempio di Demetra, mentre un'altra statuetta della stessa divinità, ritrovata negli strati sottostanti, suggerisce di datare la prima consacrazione del santuario al III secolo a.C.
A questa fase tardopunica e romana repubblicana (III secolo a.C.) appartengono le strutture edilizie attualmente visibili.
Di età augustea erano invece, oltre all'altare e al deposito sacro del vano adiacente al sacello maggiore, probabilmente anche le coperture testimoniate dagli embrici ritrovati sparsi nell'area.
Il ritrovamento di monete di Faustina Minore (125-175 d.C.) documenta la sopravvivenza del santuario ancora nel II secolo d.C. Risalgono al periodo romano imperiale numerosissimi ex voto fittili: statuine di Demetra, ''kernophoroi'', colombe, corolle floreali, lampade. La presenza della colomba, tipica dei culti di Ashtart e Tanit, attesta il sincretismo tra il culto eleusino e il mondo religioso semitico.
È ancora in discussione se il tempio abbia avuto o meno una precedente fase nuragica legata al culto di una divinità femminile dell'acqua sorgiva. A favore di questa teoria è la consacrazione dell'area in età punica e romana alla dea Demetra, divinità affine per caratteristiche cultuali alla dea madre di origine protosarda, e documentata ampiamente nell'ambiente punico di Sardegna tra il III e il II secolo a.C.

Storia degli scavi
Fu scoperto casualmente nel 1971, in occasione di lavori agricoli, e integralmente portato alla luce in tre campagne di scavo entro il 1973.

Bibliografia
F. Barreca, ''Narcao-Terresu, località Strumpu Bagoi'', in [i]I Sardi. La Sardegna dal paleolitico all'età romana[/i], a cura di E. Anati, Milano, Jaca Book, 1984, pp. 112-113;
S. Moscati-M.L. Uberti, ''Terrecotte da Narcao'', in S. Moscati, [i]Techne. Studi sull'artigianato fenicio[/i], collana ''Studia Punica'', 6, Roma, 1990.

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