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Basilica di Nostra Signora di Bonaria

Basilica di Nostra Signora di Bonaria

Scalinata di Bonaria a Cagliari

La basilica si trova sull'omonimo colle, a S/E della città, visivamente individuabile e facilmente raggiungibile da viale Bonaria.

Il contesto ambientale
Nel colle di Bonaria furono scavate le tombe della necropoli romana e della prima comunità cristiana di Cagliari. A s. della basilica sorge il santuario edificato nel 1324-25, la più antica architettura gotico-catalana in Sardegna.

Descrizione
Sul finire del XVII secolo padre Bernardo di Cariñena, mercedario del convento di Bonaria, divenne arcivescovo di Cagliari. Fu lui a volere la costruzione di una nuova chiesa, da affiancare all'antico santuario trecentesco. I lavori iniziarono nel 1704 ma non andarono oltre le fasi preliminari.
Quando la Sardegna passò al ducato di Savoia, fu affidato un nuovo progetto all'ingegnere militare piemontese Antonio Felice De Vincenti. Egli eseguì anche un pregevole modello ligneo, tuttora esistente, considerato la testimonianza più precoce e organica del Barocco in Sardegna. Il De Vincenti fonde elementi piemontesi, in particolare guariniani, e spagnoli, appresi sia in Sicilia sia in Sardegna. Il progetto prevedeva un impianto a tre navate, transetto poco pronunciato, cupole sul presbiterio e all'incrocio con il transetto, pronao d'ingresso. Benché mai realizzato, fu d'esempio per la successiva architettura isolana.
Nel 1742 fu costruito il pronao. Tra il 1764 ed il 1765 il marmoraro cagliaritano Squinardi realizzò le colonne binate ed i capitelli che scandiscono la navata. Il lavoro fu poi completato dai carpentieri Denergry e Dejoannis. Nel 1778 un altro ingegnere piemontese, Giuseppe Viana, apportò al progetto consistenti modifiche, anch'esse però mai realizzate.
Per mancanza di fondi e per l'opposizione del governo sabaudo, i lavori furono definitivamente sospesi nel 1804; nel 1866 il convento e l'area dell'erigenda chiesa furono incamerati dal Comune di Cagliari e il resto passò al Demanio dello Stato.
Solo in occasione dei lavori che sconvolsero l'assetto del santuario, tra il 1869 e il 1875, si riprese il progetto di ultimare la chiesa. Nel 1907 papa Pio X proclamò la Vergine di Bonaria Patrona Massima della Sardegna; l'avvenimento dovette certo accelerare la riapertura di un cantiere ormai invaso dalla vegetazione e con le strutture pericolanti per la lunga esposizione alle intemperie. I lavori ripresero nel 1910 sotto la direzione dell'ingegner Simonetti, il quale decise di eseguire in cemento armato le coperture delle navate e la cupola all'incrocio con il transetto; si tratta di uno dei primi esempi in Sardegna di utilizzo del nuovo materiale, della cui progettazione ed esecuzione si occupò la società Porcheddu di Torino. La chiesa fu consacrata, anche se non completamente ultimata, nel 1926, ed ebbe da Pio XI il titolo di Basilica Minore.
Di fredde forme classiciste, ha impianto a croce latina. La facciata è divise in due ordini: quello inferiore, a tre fornici inquadrati da coppie di lesene, immette nel pronao d'ingresso, diviso in tre campate; in quello superiore si apre la loggia delle benedizioni sormontata da un timpano con lo stemma dei mercedari.
L'interno, a tre navate ed ampio transetto, ha dieci cappelle, quattro per lato nelle navate laterali e due nel transetto, ai lati del presbiterio. La navata centrale è voltata a botte scandita da sottarchi, quelle laterali hanno volte a vela sovrastate da cupolini ottagonali. All'incrocio con il transetto si eleva una cupola su tamburo ottagonale, conclusa da lanterna.
I bombardamenti del 1943 provocarono la caduta degli stucchi dorati delle volte e della cupola, delle cornici e degli intonaci dipinti. Ai primi lavori di ripristino, operati dal Genio Civile nell'immediato dopoguerra, seguirono, dal 1958, quelli che diedero all'edificio la veste attuale, diretti dell'architetto perugino Gina Baldracchini. Il degrado delle strutture in cemento armato, causato dall'umidità e dall'aria salmastra, ha reso necessari ulteriori lavori di restauro diretti, tra il 1983 ed il 1998, dagli architetti Jolao Farci e Marco Atzeni.

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